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  • Immagine del redattoreRita Mollo

ARTE CHE BRUCIA ARTE


La scrittura joyciana è mirata alla compensazione per la mancanza del Nome del Padre, è sicuramente un tentativo di gloria, di Ego sulla terra, di riconoscimento e di carne che tocca carne.

Di realtà nevrotica e abissalmente sfolgorante.

L'irlandese vuole sostituire il terzo piede dello sgabello lacaniano, il vuoto manchevole anche di se stesso.

Come Petrarca, come il suo anelito d'affermazione e di esistenza saputa dall'Altro.

"Eccomi: sono qui, e sto facendo grandi cose."

Van Gogh, invece, a differenza di Joyce e del laureato è distaccato dal Reale concreto, e si avvicina, a costo di abbrustolirsi, alla Cosa, a quel noumeno kantiano inespugnabile, alla volontà, alla forza cieca, alla vita del cane randagio, alla Luce e all'essenza più pura del giallo.

Il giallo, la sua morte. Una terribile paura di "stare dentro".



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